81.
VETUS ET NOVA IERUSALEM.
Era l’ora dei vespri. Quella della luce penetrante
i muri. L’uomo si avvicinò all’altare della Cattedra, sotto il catino dell’abside dell’immensa
basilica di san Pietro. Il sole, con i suoi dardi infuocati, spingeva al giallo più violento e abbagliante i raggi che
si irradiavano dalla sacra colomba posta al centro della gloria. L’uomo, solitario nell’ora che portava alla chiusura
della basilica, si fermò a contemplare: tutto, lì, era immane, potente, profondo, e ben a ragione, perché
lì sedeva l’oracolo che stabilizza il mondo, i secoli, la storia.
La cattedra di san Pietro.
Racchiusa nella custodia di bronzo dorato del Bernini, si diceva che venisse conservata, come in un astuccio, la cattedra in legno
di quercia e avorio in cui erano stati riconosciuti, così pareva, dei frammenti di marmo di datazione ben più alta
del legno. Sopra il magnifico, maestoso schienale, si sprigionava la gloria degli angeli e dei cherubini, in volo adorante la
maestà centrale della iperuranica colomba. Quattro statue gigantesche, ancora di bronzo e ancora dorate, sorreggevano la
gran cattedra petrina, e queste quattro statue rappresentavano l’unità della Chiesa, della sua fede e della sua dottrina
nelle persone dei quattro più rappresentativi tra tutti i grandi Padri e Dottori: Atanasio e Crisostomo per i greci, Ambrogio
e Agostino per i latini.
L’abside si era fatta
deserta. L’uomo, si avvicinò ancora, avvinto dalla profondità dei concetti espressi così potentemente
e sapientemente da un’arte, e non poteva essere che quell’arte, che aveva fatto della maestà di Dio
la sua ragione. I quattro vescovi erano ora proprio sopra di lui: i loro volti solenni, le barbe folte e ordinate, le mitre alte,
autorevoli, i manti e le larghe vesti scompigliate dal sacro vento dell’oracolo proferito ex cathedra: tutto in loro
trasfondeva pienezza di magistero, fortezza inalterabile.
« Sì, hai
pensato il giusto, piccolo figlio della Chiesa: qui passa l’asse del mondo, qui passa l’asse della verità che
muove il mondo, qui passa e si stabilisce il dogma che tiene il mondo, il tempo, la storia sconfinata nelle sue salde mani: “Deus
unus est et Christus unus et una ecclesia et cathedra una super Petrum Domini vocem fondata” ».1
[“Dio è uno, Cristo è uno, una la Chiesa, una la cattedra di Pietro, fondata sulla sentenza
di Dio”. Sentenza di san Cipriano, vescovo di Cartagine (Ep. 43, 5), ispirata a san Paolo: « Uno è
il Signore, una la fede, uno il battesimo » (Ephes. IV, 5). La fortuna degli scritti di san Cecilio Cipriano,
chiamato anche Tascio, non ha eguale nei primi secoli, come appare dal numero dei manoscritti, inferiore solo a quelli della Bibbia
latina. Nacque in Africa sul principio del III secolo da genitori pagani. Apprezzato insegnante di retorica e inclinato per qualche
tempo ai vizi pagani, si convertì al cristianesimo e distribuì i suoi beni ai poveri. Fu ordinato vescovo di Cartagine
nel 248 o 249 per acclamazione popolare. Fu condannato alla pena capitale dal proconsole Galerio Massimo il 13 settembre 258.
Fu decapitato dinanzi a una folla enorme di cristiani il giorno dopo, e ne fa bella testimonianza il diacono Ponzio nella sua
Vita Cypriani. I suoi insegnamenti sulla questione dei lapsi e sulla necessità di rinnovare il battesimo
agli eretici, contro Papa Stefano, lo fecero una figura di riferimento nella compagine ecclesiale; capitale la sua dottrina sulla
necessità della Chiesa (De unitate Ecclesiæ).]
L’uomo fu buttato
con la faccia a terra dalla potenza di vento della voce. Tramortito, si chiese: chi aveva proferito quelle parole, da dove veniva
quel tuono?
« Non temere,
piccolo figlio mio, piccolo figlio della Chiesa. Io che ti parlo sono Giovanni, il perseguitato patriarca di Costantinopoli che
tutti hanno chiamato poi ‘Crisostomo’: ‘Bocca d’oro’.
« Da secoli sono
qui a reggere con i miei tre compagni Atanasio, Ambrogio e Agostino la parola di Dio nel mondo, quella parola che è scesa
nel mondo, bella, pura, retta, stabile, sicura, nel piccolo GESÙ nato da Maria e dallo Spirito
Santo di Dio. Il mondo nasce, gira, muore; ma essa, che è prima del mondo, gli dà vita, lo governa, lo provvede
».
L’uomo era disteso
bocconi, tutto tremante. Sentì sulla spalla il tocco leggero di una mano, sentì quelle dita scendere diritte come
dardi fino al cuore. Riprese forza e si sollevò sulle ginocchia. Aprì gli occhi, guardò. Alta davanti a lui
una figura d’uomo, in tutto simile, in effetti, alla statua di san Crisostomo, lo fissava con occhi da cui uscivano lampi
e balenii di fuoco. Era vestita da una veste di lino bianco e, sopra di essa, con una dalmata di fuoco. Le stoffe si agitavano
come fiamme, si agitavano come mosse da un forte vento. Faccia e mani scure, come di bronzo, ma ancora più splendenti e
auree del metallo della statua. La figura teneva in una mano il pastorale d’oro, sul capo la mitra con le due lunghe fasce
sacerdotali.
Il santo disse: «
Il cardine intorno al quale si muove ogni cosa è una parola, una parola di moto, di vita. E’ la parola di Dio
che dai troni celesti trapassa tutti i cuori e i peccati del mondo riuniti sotto l’altare. Guarda: su questo trono essa
si siede, discesa per benigna sollecitudine. Essa è il perno di verità e di bontà che muove gli uomini verso
il loro creatore. Essa passa di qui, per questa cattedra augusta, per questo altare venerabile, per questa tomba apostolica in
cui il primo dei Servi di Dio attende la risurrezione eterna. La parola di vita è questo asse diritto e non ve n’è
altro. Possono essere forse due i perni su cui gira il mondo? ».
Rispose l’uomo: «
Tu lo sai, o Padre e vescovo mio ».
Riprese Crisostomo, il
santo dalla ‘bocca d’oro’: « Non ve n’è altri. Il mondo, con tutta la sua storia, gira
intorno a un solo perno. Niente può girare intorno a due perni. Ma ora qualcuno dice che il mondo può girare, e
davvero sembra che giri, proprio su due perni. Un perno per la cattedra di Pietro. Un secondo perno per il velo squarciato per
sempre in quel gran Giorno del Golgota. Vieni. E vedi. E scrivi tutto quanto vedi ».
Ed ecco: l’uomo d’un
tratto si trovò sopra Ierusalem, sopra le ultime vestigia dell’antico muro diroccato, quel muro che, stracciato
il velo sacro del tempio, non era più altro che pietra avanzata.
Intorno al muro si accalca
una folla immensa, lasciando in mezzo solo uno spiazzo di un cinquanta metri. Dalla folla vociante ecco che si stacca una figura
bianca, curva, la figura di un uomo piegato dagli anni che, con passo malfermo ma deciso, si avvicina al gran muro nero appoggiandosi
a un bastone, un foglietto bianco ripiegato ben visibile in una mano. Il vecchio vestito di bianco arriva fin sotto il muro e,
lì, si ferma. Tutto intorno si fa silenzio, tutto il mondo ha gli occhi su di lui: si sente solo la brezza leggera soffiare
tra le vesti e le fessure della pietra. Il
vecchio alza la testa, si guarda lentamente intorno, come per rimarcare con gli occhi il gesto che si sta approntando a compiere,
e tutti gli sguardi sono davvero soggiogati da quello sguardo deciso e allusivo. Alza il foglietto bianco ripiegato, si avvicina
di un altro passo, inserisce il foglietto nella fessura polverosa del tempio. Rimane fermo ancora un momento, si gira, torna verso
la folla che lo applaude a lungo, un applauso liberatorio lungo duemila anni.
Disse all’uomo il
patriarca Crisostomo: « Hai visto, figlio della Chiesa, dove passa l’altro asse intorno al quale ruota il mondo?
».
Rispose: « Ho
visto un uomo vestito di bianco che pregava come pregano oggi i giudei. Ma perché dici che il mondo ruota anche intorno
a un perno che passa qui, su Ierusalem? ».
Rispose il venerabile Padre:
« Ascolta: cosa significa il gesto che hai visto? Tutti gli uomini del mondo lo hanno compreso: con esso un sommo Pastore
si mostra a compiere lo stesso atto di culto di uno dei vecchi e pii israeliti che lo compiono da duemila anni e, come loro, presenta
a Dio la sua preghiera ebraica, il suo pianto sulle rovine di Ierusalem, sui pochi resti del tempio di re Salomone raso
al suolo dai Romani. Ma ora io, Padre e Dottore della Chiesa, ti domando: è davvero così giusto e bello, così
cristico, questo gesto? Lo potrai capire quando io, mandato dai cieli beati in rappresentanza di tutti i Padri e Dottori della
Chiesa per aprirti la mente su questo, ti dirò chi ha distrutto quel tempio, una e due volte, e perché ».
L’uomo tornò
a trovarsi inginocchiato sui marmi del pavimento sotto la santa cattedra. I raggi del sole avevano lasciato posto a una diffusa
penombra, dalla quale emergevano solo, qua e là, i bronzi delle mitre, o di qualche ala o ricciolo di angelo. Prese dallo
zainetto il taccuino e la penna e cominciò a scrivere, mentre il vescovo, alto davanti a lui, parlava con la sua voce eloquente:
come tenesse una lezione.
« Cominciamo
con le sacre Scritture di Dio: “Io non sono contento di voi, dice il Signore degli eserciti; io non accoglierò offerta
dalle vostre mani. Perché da dove sorge il sole fin dove tramonta, il mio nome è grande tra tutte le genti; e in
ogni luogo si sacrifica e si offre al mio nome un’oblazione pura; perché grande è il mio nome tra tutte le
genti, dice il Signore degli eserciti”. A quale tempo è riferita la profezia di Malachia? quando l’incenso
è offerto in ogni luogo? da quando il sacrificio è puro? ».
« Non lo so, mio
venerabile Padre. Apri la mia mente, che io conosca queste cose ».
Riprese il santo: «
Scrivi, piccolo figlio della Chiesa. Se la profezia che hai ascoltato del grande Malachia non riguarda il presente, e il suo
vaticinio non riguarda il nostro divino Sacrificio, cioè quello istituito col Nuovo Patto da GESÙ Cristo nostro
Signore, allora la profezia è contraria alla legge, è contraria a Mosè. 2
[Mal., I, 10b-11. Questa centrale profezia è appoggiata da tutti i Padri allo stesso senso dato in queste righe
dal patriarca Crisostomo: ne è esempio sant’Ireneo, la cui lettura è offerta al § 74, pag. 272.]
« Infatti Mosè
vieta che il sacrificio possa essere celebrato in alcun altro luogo, se non in quello stabilito da Dio, come vedremo. Questo divieto
dato da Mosè per divino volere è divieto di prima grandezza. Comprendi quello che dico? ».
Rispose l’uomo: «
Sì, mio signore, comprendo: il culto a Dio, per essere valido e legittimo culto di adorazione, si può compiere
solo in un luogo ».
« Hai compreso
bene. Allora vuol dire che Mosè parlò di un sacrificio, Malachia di un altro sacrificio. Mosè parlò
del sacrificio antico, ebraico. Malachia profetò del nuovo, cristiano. Infatti Malachia, in quanto al luogo, parla non
di una sola città, ma “da dove sorge il sole fin dove tramonta”; in quanto agli offerenti, non parla d’Israele,
ma di “tutte le genti”.
« Vedi, figliolo,
la profezia di Malachia è veramente diversa, e non solo diversa, ma opposta alla legge data da Mosè, il quale restringe
il luogo dove sacrificare a una sola città: “Non potrai immolare la Pasqua in una qualunque delle città che
il Signore tuo Dio t’avrà date; ma solo nel luogo che il Signore Dio tuo avrà scelto per farvi abitare il
suo nome”. 3 [Deut., XVI, 5-6a] Lo restringe a Ierusalem.
« Consideriamo
dunque come il Signore, in un primo tempo, con Mosè, abbia limitato a una sola città il giorno festivo; quindi,
in un secondo tempo, dopo GESÙ, abbia distrutto quella stessa città per strappare gli abitanti, ancora una volta
loro malgrado, da quelle usanze religiose. Non c’è dubbio che il Signore prevedeva le conseguenze di ogni decreto
sulla storia, assiso com’era fuori della storia. Per quale ragione, del resto, radunò qui, a Ierusalem, i
Giudei venuti da ogni parte della terra, pur prevedendo che in futuro la città sarebbe stata distrutta? non è evidente
che voleva abolire questa festività? ».
Parlando lentamente, e
soppesando ogni parola, l’uomo considerò le parole del santo e rispose: « Come se il Signore avesse
portato le greggi che avevano il suo marchio in un solo recinto, per poi buttare all’aria tutti i pali e i legni di quell’unico
recinto e quasi lasciasse le pecorelle al pascolo brado… ».
Rispose il beato: «
Hai capito bene. Ma per rendere ancor più evidente la realtà, vediamo ordinatamente le cose. Dio comanda e ordina
a tutto Israele di radunarsi tre volte l’anno, in particolare a Pasqua, in una sola città: Ierusalem. Il sacrificio
pasquale si può fare solo nella città santa.
« Qui bisogna
capire come questa stessa inderogabilità non sia applicata al tempo, a una data fissata, ma solo allo spazio: è
previsto infatti poter immolare la Pasqua supplementare, per chi è in particolari difficoltà codificate, un mese
dopo il tempo dovuto, purché la Pasqua sia celebrata a Ierusalem.
« Leggiamo ancora
le Scritture: “Quando alcuni chiesero a Mosè: ‘Noi siamo immondi a causa di un morto: perché dev’essere
impedito a noi, tra i figli d’Israele, d’offrire al Signore l’oblazione al suo tempio?’, Mosè trovò
giusto il quesito e rispose: ‘Chiediamo al Signore’. Il Signore comandò a Mosè: ‘Quegli che fosse
immondo a causa di un morto, o fosse in viaggio lontano dalla vostra nazione, farà la Pasqua del Signore nel mese secondo,
il quattordicesimo giorno, a sera’.” 4 [Num., IX, 7; 8-11a]
In conclusione, presso i giudei l’osservanza rigorosa del tempo non è obbligatoria, purché la Pasqua sia
immolata, strettamente, a Ierusalem.
« Sappiamo d’altronde
– continuò il santo – che i giudei mai offrivano i sacrifici, mai cantavano inni sacri, mai digiunavano,
quando si trovavano esiliati in terra straniera, come attesta l’episodio di Azaria e dei suoi compagni che, non potendo
fare i sacrifici di olocausto, essi stessi si offrirono a Dio come sacrificio di olocausto. E tutti i giudei intonavano con Geremia:
“Sui fiumi di Babilonia, / là sedemmo e piangemmo, / ricordandoci di Sion! / Ai salici, in mezzo ad essa, / appendemmo
le nostre cetre. / Ché là ci domandarono quei che ci avevan menati schiavi, parole di canto, / e quei che ci avevan
deportato, allegrezza: / ‘Un inno cantateci de’ cantici di Sion!’ / Come canteremo il cantico del Signore su
terra straniera? / S’io mi dimentico di te, o Ierusalem, / sia colta da oblio anche la mia destra. / S’attacchi
la mia lingua alle mie fauci, / se non mi ricordo più di te, / se non metto Ierusalem in cima ad ogni mia gioia”.
». 5 [Psal., CXXXVI, 1-6]
Il santo Dottore fece una
pausa significativa, poi riprese, grave: « Settant’anni di duro esilio in Babilonia servirono a insegnare agli
Israeliti questo costume fondamentale: lontani da Ierusalem i riti sono in abominio al Signore. Tanto che anche Daniele
e i tre fanciulli non si azzardarono a digiunare, proprio perché non si trovavano nella città dove è possibile
compiere le opere di religione, le opere pie, come prescritto dal Signore a ogni Israelita, pena “lo sterminio della sua
anima”. 6 [Num., IX, 13b]
« Dio, per inculcare
nel suo popolo quando sacrificare e quando non sacrificare, lo manda in esilio tra gli Assiri per settant’anni, fa distruggere
il tempio fino allo sconquasso dell’altare. Poi, per convincerli che queste sono opere proprio sue, di Dio, e non degli
uomini che ne sono solo strumenti e, se sono opere d’uomo, è perché sono opere sue, disposte da Lui, sempre
ordina ai profeti di vaticinare il tempo esatto in cui si compirà l’esilio, la distruzione della città e del
tempio, per opera di chi, e a causa di cosa. Quindi fa loro profetare anche il tempo esatto, la città dell’esilio
e il luogo dove li avrebbe ricondotti: “Quando saranno in sul compiersi, per Babilonia, settant’anni, vi visiterò
e manterrò la mia parola buona di ricondurvi in questo luogo”. ». 7 [Ier.,
XXIX, 10]
L’uomo ascoltava
il Dottore, pensando che veramente questo Giovanni senza nomen familiae meritava di essere chiamato ‘Bocca d’oro’.
E considerò: « Quindi tutte queste circostanziate profezie dovevano svolgere presso gli ebrei una vera funzione
propedeutica, mi pare, per insegnar loro che l’autore delle loro disgrazie, se così si può dire, era Dio e,
se ho ben capito, essi dovevano anche capire che quelle non erano veramente delle disgrazie, ma piuttosto erano avvenimenti che
dovevano servire loro di ammonizione, di penitenza, di castigo anche, a causa delle loro continue ribellioni al Signore, ma, specialmente,
di istruzione ».
« Proprio così,
mio caro figlio, proprio così ». Il santo martire si fermò un poco in silenzio, forse anche meditando
sulle proprie vicissitudini, che l’avevano portato a essere esiliato per ben due volte: sempre più rigidamente, sempre
più lontano dai suoi amati fedeli, e forse non solo – considerava ora il santo – perché in tal modo
il Signore aveva castigato i feroci suoi nemici togliendo loro un degno pastore, ma anche per umiliare quel pastore e ardere ulteriormente
il suo cuore nel crogiolo della dura prova, togliendogli ogni sapore di vanagloria e di compiacimento per aver saputo in tante
occasioni pascere gli agnelli come il Pastore grande voleva.
Crisostomo, assorto nei
misteri della profondità e dell’estensione in cui si perdeva la bontà e la comunicatività di Dio, si
lisciò meccanicamente la corta barba rimasta nera e forte, quindi, con la sua profonda e bella voce riprese: « Ma
c’è un motivo anche più importante. Il tempio del Vecchio Testamento è preordinato quale ombra del
Tempio nuovo. Col nuovo, il vecchio passa, come dice l’Apostolo, e muore: “Ciò che è fatto antico ed
è invecchiato, è vicino a scomparire”. 8 [Hebr.,
VIII, 13]
« Cosicché
1): il tempio di Salomone è ombra di GESÙ Cristo. 2): l’esilio a Babilonia è ombra e prefigurazione
della dispersione degli ebrei fra le genti. 3): la distruzione del tempio di pietra, ombra della morte di Cristo. 4): la riedificazione
sotto Esdra del primo tempio salomonico, allusione alla risurrezione di Cristo. Per ultimo: la precisione delle profezie compiute
dall’esilio è forte garanzia della medesima precisione delle profezie ultime, quelle che riguarderanno il Nuovo Testamento:
l’esilio definitivo che, secondo noi: Padri della Chiesa, non può avere definitivo ritorno ».
« Quindi
– interloquì l’uomo ginocchioni – il disegno di Dio sarebbe compiuto al fine di insegnare agli ebrei
il proprio disegno ».
« Proprio così
– rispose vivacemente il santo – ma più ancora: quello che Dio insegna ai ‘pueri’ ebrei con
gli atti che essi stessi compiono, quindi con la storia, non solo è d’insegnamento ad essi stessi in quanto popolo,
ma ad essi stessi presi in ciascuna singolarità personale, poi a ciascuna anima di uomo dove che sia sulla faccia della
terra, poi a tutti e a ciascun popolo di essa, poi a tutta l’umanità presa nel suo insieme universale e astratto
di umanità, e infine, anche, alla nostra amata Chiesa, popolo di Cristo.
« Ma torniamo
ora ai nostri ebrei. Ad essi si attaglia bene un esempio che ti faccio. Come il medico infrange il bicchiere da cui il malato
si serviva per prendere il veleno medicamentoso, affinché il malato una volta guarito non se ne serva più, così
Dio, distruggendo il tempio fin dalle fondamenta, portò i giudei, loro malgrado, a rinunziare all’immolazione della
loro Pasqua. Questa è l’opera di un attento pedagogo che vuole inculcare nei propri discepoli la certezza che Egli
darà loro, in un giorno propizio, per prima cosa la vera Vittima da immolare, in secondo luogo il Tempio vero dove immolare,
infine il vero Sacerdote che immolerà.
« Dato che questi
tre doni sopramondani, tra i giudei, non saranno capiti che da pochi, per via del diavolo e della malizia che questi ha messo
nel mondo, essi causeranno la rivolta della maggioranza d’Israele. “Non scandalizzatevi – dice però il
Signore – perché quello che succederà Io l’avevo previsto, è nei miei disegni provvidenziali:
voi siete recalcitranti, siete ribelli, ma io compirò ugualmente la mia opera sapendo precisamente che voi siete recalcitranti
e ribelli. La compirò malgrado voi”. Quante sono le volte in cui il Signore si lamenta e, come si leggerà
spesso nelle Scritture, si ‘pente’, d’Israele? ».
Rispose l’uomo con
impeto: « Non poteva Dio scegliere un altro popolo? Se questo popolo gli fu così infedele sempre, non poteva Dio
prepararsi un popolo che non cambiasse il suo Dio continuamente, con quello spirito di ribellione che sembra una caratteristica
proprio e solo di questo nostro popolo? ».
Il santo vescovo guardò
il suo interlocutore per un momento con un misto di commiserazione, di pietà, di gravità. Corrugò la fronte,
poi alzò il pastorale d’oro in alto e lo abbassò, in un largo gesto quasi di impotenza: « Ma anche
con un altro popolo da Dio onnipotente non si sarebbe sprigionata più bontà di quanto non se ne sia sprigionata
verso l’ebreo. Devi considerare e assegnare all’Altissimo sempre – a priori, come si dice – tutta la sua
disponibilità di Dio Creante, Comunicante, Provvidente. Queste sono le tre proprietà che si possono attribuire a
ciascuna delle tre Persone della santissima Trinità, riconoscendo a ciascuna di esse una caratteristica assolutamente divina.
« Anzi, sappiamo
che le cose determinate dal Signore sono sicuramente progettate in disegni tali che la bontà da esse sprigionata sia la
massima. Questo – aggiunse lentamente, quasi scandendo le parole, il grande Padre e Dottore, con una voce terribilmente
profonda e bassa – è un fatto che oggi dovrebbe essere ben considerato anche e proprio dai pastori delle greggi
sbandate: la bontà di Dio è massima in ogni momento della storia. Non fidarsi della bontà di Dio è
non fidarsi della sua onnipotenza. Da qui, da questa ombra oscura di sfiducia, origina e prende corpo ogni eresia: il Manicheismo,
il Pelagianesimo, l’Ecumenismo. Tutte, tutte le eresie hanno origine dalla sfiducia nella bontà sovraeminente di
Dio: dapprima latente e confusa, velata – e questo è il momento più difficile perché è il meno
riconoscibile ma è anche l’unico momento in cui l’infezione potrebbe venir debellata con relativa facilità
– poi virulenta e universale, la sfiducia in Dio è quasi un rifiuto dell’esistenza provvidente di Dio ».
Crisostomo fece a questo
punto un gesto stupefacente: appoggiandosi al lungo pastorale d’oro si inginocchiò, abbassò il capo profondamente,
si distese sui marmi del pavimento in un atto di adorazione che lasciò l’uomo che lo ascoltava senza fiato: sembrava
quasi che le fiamme delle sue vesti, tutte prone con il patriarca, rifulgessero d’arsione e lasciassero intravedere, nei
rossi delle braci, nei vermiglioni, nelle porpore e negli ori accesi, volti celesti di cherubini adoranti, arcangeli impetuosi
nell’ombra delle fiamme d’amore tutt’intorno, un’unica vasta adorazione a quella sublime Trinità
che essi solo vedevano. « Adorate il Figliolo! », ordinò il santo, e, una voce, come rombo di tuono
si sparse profonda nell’aria dell’antica basilica deserta e buia, la solenne risposta: « Lode, gloria
e onore al Verbum divino! Lode all’Agnello di Dio! ».
Poi, dopo un lungo momento
sospeso nella mistica contemplazione, il vescovo si rialzò, nel vento fiammeggiante, e sembrò davvero tutto più
acceso, più alto, più solenne: i suoi occhi e la sua fronte mandavano balenii di luce vividi come rubini. L’uomo,
a terra, fu preso da grande terrore. Mormorò: « Gloria, gloria a Dio per ogni cosa ». 9
[Queste, in effetti, sono le ultime parole pronunciate dal santo Patriarca in esilio nei territori gelidi
del Caucaso, prima di rendere l’anima a Dio. Ora fioriscono sulle labbra del discepolo.] E si curvò anch’egli,
annichilito, nell’adorazione.
Si sentì di nuovo
toccare dalle dita leggere del santo, e una forza nuova gli si trasfuse nelle midolla e nelle giunture e, riconoscente, rialzò
piano il capo. Crisostomo era tornato nella posizione di prima, ritto in piedi, con il capo leggermente curvo. Guardò l’uomo
fisso negli occhi e, quasi come in una lezione, continuò:
« La radice
della continua ribellione di Israele a Dio, e invece della stupida fedeltà degli altri popoli agli dèi che essi
si sono dati, e che neppure esistono, sta in questo: che questi dèi vani sono perfettamente conseguenti alla mentalità
e alle esigenze degli uomini, i quali infatti se li sono plasmati a loro piacimento, a loro gusto, con la complicità e
l’attiva collaborazione dei diavoli. Mentre Israele si è trovato impigliato nel Dio vero, nel Dio davvero soprannaturale,
non conforme assolutamente alla natura e non adeguabile ad essa sotto nessun aspetto. Qualunque popolo, al posto di Israele, si
sarebbe comportato con quel ribellismo indomito che caratterizzò il rapporto di Israele nei confronti del suo Dio.
« Quindi è
necessario che, come ricorda l’Apostolo, tutti i popoli, i Gentili, si umilino dinanzi a Israele, perché non si sarebbero
comportati con più fedeltà di Israele. Anzi, Israele, in virtù della benevolenza che i suoi Padri acquistarono
presso Dio, fu di insegnamento ai popoli idolatri, che avrebbero dovuto sacrificare al Dio vero, e giungervi con l’intelletto
facilmente, E NON VI GIUNSERO.
« Ma ora torniamo
a noi. A riprova del fatto che l’esilio attuale dei giudei, al contrario dei precedenti, sarebbe stato ed è definitivo,
quanto invece era stato transitorio l’esilio babilonese; di quanto fosse davvero definitiva la distruzione del tempio attuale,
e quanto fossero state, all’opposto, temporanee le distruzioni precedenti; di quanto fossero morti per sempre i riti, conclusi
i sacrifici, inutili e vuoti gli olocausti, quanto erano sospesi i digiuni, i canti, i sacrifici nei tempi in cui era preclusa
Ierusalem, a riprova di tutto ciò Dio trova un altro potente argomento: Egli permette che i giudei, anche dopo il
gran Giorno del Sacrificio stabilito da Cristo, in questi lunghi ultimi millenni, provino a riunirsi, a riedificare, persino in
qualche modo a pregare, come fanno oggi accanto ai poveri avanzi del tempio. Dio ‘permette’ questi atti, ma non li
tollera e sempre li rovescia, li dissolve, li scompiglia.
« Se i giudei
non avessero mai tentato la riedificazione del tempio, oggi potrebbero ancora dire: “Se avessimo voluto intraprendere la
riedificazione del tempio, certamente lo avremmo potuto riedificare, condurlo a termine”. Ma si è visto che non solo
una volta ma anche due e persino tre e più di tre, essi tentarono con tutte le forze e determinatamente la riedificazione
del tempio e ne furono impediti: sotto Vespasiano, sotto Tito, sotto Elio Adriano, e ancora: sotto Costantino, sotto Giuliano
».
L’uomo, sotto la
grande cattedra, stupì: « Tutti questi tentativi furono stornati da Dio? e tutti questi tentativi delusi non illuminarono
i giudei? non intravidero essi un cambiamento tra la storia che li aveva condotti per anni e per secoli, e la storia che ora li
fermava continuamente come contro una pietra? ».
Il patriarca riprese, accigliato:
« Da Adriano in poi, addirittura, “l’abominio della desolazione” di una statua pagana impererà
sulla spianata dove prima si ergeva il fastigio della religione mosaica, anticipo dell’ancor più abominevole desolazione
della moschea musulmana costruita, per sfregio, sotto Omar.
« Che le cosiddette
“tre grandi religioni monoteiste” di cui insanamente si parla tanto oggi, adorino un unico Dio – dico e affermo
– è un chiodo fisso che trafigge solo alcuni ostinati uomini dal cuore malato, infermo, che credono di avere la mente
cattolica, ma non l’hanno.
« Sotto Tito,
addirittura, un soldato – lui stesso poi dirà, ai superiori che avevano ordinato di preservare il tempio, di aver
agito “per superiore ispirazione” – dà fuoco alle sacre pietre persino nello stesso giorno in cui era
stato appiccato l’incendio al precedente tempio di Salomone, cioè gli dà fuoco il giorno 15 del mese di ‘àbh’.
Vedi come Dio governa la storia?
« Sotto il terribile
Giuliano Apostata, infine, un fuoco, un altro fuoco, esce dalle viscere della terra, svegliata sacrilegamente per l’ennesimo
tentativo di riedificare ciò che per irremovibile decreto divino sarà per sempre inedificabile ».
Il Dottore tacque, severo,
e l’uomo, in ginocchio, considerò lentamente: « Quindi i giudei cercarono in tutti i modi di contrastare
la volontà di Dio, come se la volontà di concludere un contratto con la stesura del rogito e il superamento del
compromesso fosse cosa a loro sfavore e non invece – come mi sembra che capirono Pietro, Paolo, Gamaliele e migliaia di
altri ebrei – cosa tutta a loro favore… ».
Il Dottore sorrise: «
Sei perspicace, piccolo figlio della Chiesa. In effetti, la stesura di quello che tu hai chiamato il ‘rogito’,
ovvero la saldatura del legame in eterno tra Dio e gli uomini, avrebbe dato a un Israele umile, adorante e obbediente il primato
spirituale che lo avrebbe ampiamente ricompensato, nella pienezza della grazia, di ogni perdita che avrebbe dovuto registrare
sul piano mondano, temporale e carnale. La Chiesa, ebrea a tutti gli effetti, lo dimostra ampiamente ».
« Per contro
– continuò il vescovo – se il Signore avesse voluto mantenere quei riti fatti di capri e di tori, avrebbe
agito in uno di questi due modi: o non avrebbe imposto che i sacrifici fossero celebrati in un luogo determinato proprio nel momento
in cui i giudei erano stati dispersi in ogni parte del mondo; oppure, se voleva che essi sacrificassero in un solo luogo, non
li avrebbe dispersi per tutto l’universo e non avrebbe reso inaccessibile quella città nella quale soltanto aveva
comandato d’immolare le vittime dei sacrifici.
« Scrivi! Perché
li ha dispersi? Perché fosse chiaro che a portare la religione sulla terra sia solo e unicamente Lui, e sia chiaro, ancora,
che la religione Egli l’ha portata introducendo tutti gli strumenti necessari, come ho detto, e questi strumenti sono suoi,
sono Egli stesso, perché niente sulla terra è capace di onorarlo e solo Egli stesso, da se stesso, può onorare
sé convenientemente.
« Capisci questo,
figliolo? Solo Dio può onorare Dio. Non c’è creatura sopra e sotto le stelle che possa cantare a Dio una lode
adeguatamente infinita solenne umile disinteressata eterna da porsi al cospetto della sua divina Maestà. In più,
caduto l’uomo nel fango dell’abiezione del peccato, ciò che prima era incommensurabile divenne anche impossibile
».
L’uomo sussurrò:
« Signore, Iddio nostro, quant’è ammirabile il tuo Nome su tutta la terra… ». 10
[Psal., VIII, 2b]
« Poiché
s’innalza la tua magnificenza al di sopra de’ cieli ", 11 [Ibidem,
2c] rispose piano, salmodiando come in doppio coro il grande patriarca con la sua voce potente di baritono. Quindi, dopo
un breve silenzio, riprese: « Per compiere quest’opera di religione Dio si serve di strumenti della terra come
segni, sacramenti, immagini: ecco i tempi diversi, calibrati (Antico e Nuovo Tempo), ecco i fatti della storia (plurime edificazioni
del tempio, plurime dispersioni dei giudei, discesa dai cieli del Messia), ma ecco anche le profezie che, questi fatti, li avvisano,
li definiscono, li spiegano.
« Dio, che aveva
fatto della città di Ierusalem quasi la chiave di volta della religione giudaica, distruggendo questa città
non ha con essa demolito le istituzioni che le erano proprie? ».
« Ma come è
possibile – interruppe l’uomo, attento – che proprio tutto ciò che si sapeva più sacro: Sion,
il tempio, il sacrificio consumato dal fuoco celeste, si debba ritenere ora addirittura così peccaminoso da doversi considerare
sacrilego? ».
Rispose prontamente il
celeste interlocutore e, per la prima volta, quasi sorrise: « Figliolo, proviamo allora a fare ai giudei, direttamente,
le domande più impegnative: esse sono le domande che essi stessi si fanno nei loro cuori, e io dico loro: aprite i vostri
cuori a chi vi ama! Sono stati forse gli uomini a far sì che voi giudei non abbiate più Profeti? Eppure non potete
dire, in duemila anni, di aver avuto più un Profeta, anche se le traversie passate non sono inferiori a quelle che mossero
Dio, in altri tempi, a mandarvi ben più di un Profeta, proprio per riportarvi a Lui.
« Sono forse stati
gli uomini ad avervi tolto la grazia dello Spirito Santo? Eppure, guardate: lo Spirito Santo, che scenderà dai cieli aperti
solo nel tonante giorno di Pentecoste del 33o anno del Signore, e discese solo per virtù dei meriti di GESÙ Cristo,
in vista di quei meriti non lesinò la sua presenza nei cuori dei Profeti e nei culti di Giosuè, di Gedeone, di Azaria,
di Esdra.
« Sono forse gli
uomini che hanno abolito ciò che avevate di venerabile: la voce risonante che usciva dal propiziatorio, la forza dell’unzione,
la ‘dichiarazione’ 12 [Tra gli abiti indossati dal sommo sacerdote
vi era il cosiddetto ‘razionale’ o ‘pettorale’: probabilmente di derivazione egizia per il nome e per
l’uso (ebraico: hôsen, ‘oracolo’); Vulgata: rationale o rationale iudicii,
secondo la forma piena ebr. Hôsen [rationale] hammispat [iudicii], perché lo portava
pendente al petto il sommo sacerdote quando entrava nel santuario e quando doveva decidere affari di grande importanza. Era un
tessuto finemente ricamato, quadrangolare, simmetricamente costellato di 12 pietre preziose disposte nel modo seguente e di colore
diverso l’un dall’altra: Ia fila: smeraldo, topazio, rosso chiaro; IIa fila: acqua marina, zaffiro, carbonchio; IIIa
fila: ametista, agata, giacinto; IVa fila: diaspro, alabastro, crisolito; e portante ciascuna impresso uno dei nomi delle relative
12 tribù (Ezec., XXVIII, 15 segg.). Al centro, nella parte interna e ripiegata, erano posti il Tummin e l’Urim
(Exod., XXVIII, 30), forse altre due pietre preziose da cui, pare, si traevano i responsi divini. Ciò spigherebbe
anche la traduzione dei Settanta: loceiou = oracolo, responso. Gli Urim e Tummin esprimono il mezzo per la
consultazione ufficiale di Iahweh a opera del sommo sacerdote. Secondo l’opinione più accettabile sarebbero due pietre,
di vario colore e diversa forma. I due termini pare significhino ‘luce’ e ‘integrità’; se non derivano
dall’assiro urê (Nebo, dio delle scritture e degli oracoli, è detto “signore degli urê”)
e tummu (forma derivata da tâmu, “pronunziare una formula magica”). Istituzione prettamente mosaica.
La domanda era formulata in modo che la risposta poteva essere data semplicemente per sì o no. Mosè era in diretta
relazione con Dio. Giosuè invece, ordinariamente, si rivolgerà al sommo sacerdote che consulterà per lui
la decisione dell’Urim davanti al Signore. Questa consultazione, frequente sotto Saul e all’inizio del regno
di Davide, non è più attestata sotto Salomone e in seguito. Cfr. Francesco Spadafora, Dizionario Biblico,
voci Pettorale, Urim e Tummin.] delle gemme preziose del sommo sacerdote?
« Infatti devi
sapere, figliolo, che non tutte le cose della religione ebraica erano di origine terrena, ma molte e le più importanti
avevano origine e forza soprannaturale e celeste, come la nube e il fumo che riempiva il Santo dei Santi, il fuoco divorante che
bruciava le immolazioni pasquali. 13 [« Un fuoco che veniva dal Signore
consumò in un istante l’olocausto e il grasso che erano sull’altare » (Levit., IX, 24a). Cfr.
anche Levit., X, 1-2; Num., IX, 15; Isai., XXXI, 9; III Reg., XVIII, 38; II Macc., I, 19.]
« Perché,
se incolpi gli uomini, devi riflettere che, se gli uomini avessero osato abolire ciò che non poteva essere abolito e che
Dio non avesse voluto abolire, gli uomini non avrebbero potuto attuare il loro disegno ».
Crisostomo si fermò,
dando il tempo all’uomo dinanzi a lui di lasciarsi trapassare dal concetto. Riprese: [...].
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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